15 Giugno 2025 - 20:52

Infiltrazioni mafiose nel Superbonus 110%: imprenditore edile ai domiciliari per concorso esterno

Nella mattinata odierna, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Messina hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, emessa dal Tribunale di Messina – Collegio per il Riesame – su richiesta della Procura Distrettuale. Il provvedimento riguarda un imprenditore edile Mariano Tindaro Ilacqua, 46enne, già noto alle Forze dell’Ordine, indagato per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso.

L’ordinanza si inserisce nell’ambito di una più ampia indagine sulla presenza della criminalità organizzata nel settore dell’edilizia, in particolare nei lavori di ristrutturazione e efficientamento energetico finanziati con il cosiddetto Superbonus 110%. Le attività investigative avevano già portato, lo scorso 3 dicembre, all’arresto di Salvatore Foti e Tindaro Pantè, ritenuti appartenenti alla “famiglia dei barcellonesi” e accusati di associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di beni aggravato dalle finalità mafiose.

Secondo quanto emerso dalle indagini, l’imprenditore oggi colpito dalla misura cautelare avrebbe stretto un accordo con Mariano Foti, esponente di spicco della consorteria mafiosa barcellonese attualmente detenuto, al fine di ottenere il sostegno del clan per agevolare la propria impresa nel settore del Superbonus. In cambio della protezione mafiosa e della segnalazione di immobili su cui operare – in aree come Barcellona Pozzo di Gotto, Pace del Mela, Furnari, Terme Vigliatore e Milazzo – l’imprenditore avrebbe garantito il pagamento di somme di denaro al sodalizio criminale e l’assegnazione di subappalti a ditte riconducibili al clan.

In particolare, Salvatore Foti e Tindaro Pantè, rispettivamente figlio e uomo di fiducia di Mariano Foti, avrebbero avuto il compito di segnalare edifici da ristrutturare, assicurando così all’impresa commesse redditizie. Le provvigioni, mascherate da compensi per presunte prestazioni d’opera, sarebbero state corrisposte regolarmente. Inoltre, l’imprenditore avrebbe accettato l’indicazione da parte del clan delle ditte da impiegare nei subappalti, le quali avrebbero a loro volta versato percentuali dei profitti al gruppo mafioso.

In una prima fase, il GIP non aveva accolto la richiesta di custodia cautelare avanzata dalla Procura nei confronti dell’imprenditore, ritenendo insussistenti le esigenze cautelari. Tuttavia, a seguito dell’appello presentato dalla Procura Distrettuale, il Tribunale del Riesame ha riformato tale decisione, disponendo oggi la misura degli arresti domiciliari.