Il racconto tormentato “Delitto/Castigo” di Rubini e Lo Cascio al Teatro Vittorio Emanuele

Dopo il successo di Provando…dobbiamo parlare, un nuovo progetto sul Teatro non Teatro partorito dalla mente di Sergio Rubini arriva al Teatro Vittorio Emanuele di Messina. Attraverso la riscrittura e l’ausilio di un rumorista presente in scena, Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio ci conducono in un viaggio tormentato tra i capitoli di uno dei più grandi romanzi mai scritti facendoci rivivere l’epico romanzo dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo. Una sensazione di vertigine e disagio accompagna lo spettatore per  tutta la durata dell’opera. Vertigine di essere finiti dentro l’ossessione di una voce che individua nell’omicidio la propria e unica affermazione di esistenza. E quindi il delitto come specchio del proprio limite e orizzonte necessario da superare per l’autoaffermazione del sé. La scenografia è in costante cambiamento, ricrea i luoghi nel loro da farsi ad eccezione del letto, del tavolo con sedie e del catino, che vivono sul palcoscenico aperto già dall’arrivo dello spettatore in sala e lo catapultano all’interno della storia ancora prima dell’inizio dell’opera stessa. Grandi cappotti appesi dondolano e si trasformano prima in passanti e poi animano e danno volume allo stato confusionale del protagonista.  Un conflitto che crea una febbre, una scissione, uno sdoppiamento; un omicidio che produce un castigo, un’arma a doppio taglio. Come nella scrittura del romanzo, dove la realtà, attraverso il racconto in terza persona, è continuamente interrotta e aggredita dalla voce pensiero del protagonista. Ed è proprio questa natura bitonale di Delitto e Castigo a suggerire la possibilità di portarlo in scena attraverso una lettura a due voci.

Trama

Delitto e Castigo, l’opera più letta e conosciuta di Dostoevskij, che racconta il tormento di Rodion Romanovič Raskol’nikov, un giovane poverissimo e strozzato dai debiti, che uccide una vecchia e meschina usuraia. Nel romanzo è evidente il conflitto interiore del protagonista, che crea in lui una scissione; ne viviamo i lucidi ragionamenti, in cui si rifiuta di provare rimorso, per dimostrare a se stesso di appartenere alla categoria di quelli che lui definisce i “napoleonici”, i grandi uomini, le menti superiori dalle idee rivoluzionarie, autorizzati a vivere e agire al di sopra della legge comune, perché tutte le loro azioni, anche quelle condannate dalla morale, hanno come fine ultimo il bene collettivo.