Un classico di Molière affascina il Vittorio Emanuele, Alessandro Benvenuti è “L’ Avaro”

Dopo il successo del “Malato immaginario”, Ugo Chiti rilegge un altro grande classico di Molière, “L’avaro”, scritto nel 1668 ma di straordinaria attualità. Arpagone è un capofamiglia spilorcio e tirannico come tanti altri il quale, pur di non sborsare un soldo, insiste affinché il figlio Cleante sposi una ricca vedova e la figlia Elisa un marchese talmente facoltoso da non esigere alcuna dote.Per farle un regalo e dimostrarle il suo amore, Cleante deciderà perfino di ricorrere ai servizi di un mediatore in grado di procurargli il contatto per ottenere un prestito ad usura: ma ecco che, al momento della consegna del denaro, padre e figlio si vengono a trovare inaspettatamente l’uno di fronte all’altro.

Ugo Chiti per l’occasione ha snellito il testo e ha curato la regia, mentre Alessandro Benvenuti ha vestito i panni di Arpagone, l’odioso e patetico riccone, esilarante e ridicolo – fin quasi a provocare sentimenti di pena e indulgenza. Il risultato, anche grazie al prezioso contributo dell’attrice Giuliana Colzi nel ruolo di Frosina, il ritmo incalzante di questa versione de L’Avaro è stato decisamente gradevole e frizzante, con momenti autentici di divertimento.

Grande prova per Alessandro Benvenuti, che rende benissimo non solo la gretta avidità del suo personaggio, facendone emergere in modo proverbiale gli aspetti più grottescamente comici, ma anche la disperazione del derubato in cui è bravissimo a suscitare l’empatia del pubblico, che quasi ne prova pietà, fino al delirante epilogo in cui il peso delle monete lo condanna a giacere al suolo senza riuscire ad alzarsi, solo ed abbandonato da figli e servitù, ma senza soffrirne, anzi quasi felice di restare da solo col suo amato denaro: “Ci bastiamo da soli”.